Osteoporosi… quante volte abbiamo sentito questo nome? Ma di cosa si tratta esattamente? L’osteoporosi è un termine che deriva in parte dal greco: “poros” infatti significa “buco” e l’osteoporosi sarebbe quindi un osso bucato, poroso appunto.
L’osteoporosi si manifesta con una riduzione della massa dell’osso, che diventa sempre più fragile e sensibile alle rotture. Uno dei problemi dell’osteoporosi è dato dalla sua asintomaticità: la patologia quindi non è percepibile se non quando è troppo tardi, ovvero quando le ossa sono ormai così fragili da potersi rompere con estrema facilità. Ma quali sono le ossa a maggior rischio di rottura? Normalmente, soprattutto negli anziani, è l’anca ad essere maggiormente a rischio; l’anca è un osso tanto grande quanto fondamentale nel cammino e la sua frattura può portare a delle problematiche notevoli soprattutto nelle persone che, essendo in tarda età, non possiedono un organismo capace di recuperare in fretta dalla frattura. Ma anche il polso, la spalla e la colonna vertebrale possono essere colpite dall’osteoporosi. Nel caso della colonna è facilmente immaginabile la pericolosità di un eventuale rottura.
Quanti tipi di osteoporosi esistono?
La famiglia dell’osteoporosi è formata da tre principali rappresentanti:
• L’osteoporosi post-menopausale
colpisce ovviamente le donne, in una percentuale che varia dal 5 al 30% circa e in un età intorno ai 50 – 55 anni, subito dopo la comparsa della menopausa quindi. In questo caso sono le vertebre ad essere interessate dalla patologia, che per fortuna “lascia in pace” sia l’anca sia il polso.
• L’osteoporosi senile
Tecnicamente l’osteoporosi post-menopausale farebbe parte di questa categoria, in quanto compare in un età non esattamente giovanile. Tuttavia si è preferito distinguerle in quanto l’osteoporosi senile coinvolge entrambi i sessi e presenta cause distinte dalla post-menopausale. Inoltre compare in età decisamente successiva alla menopausa: intorno ai 60-65 anni di età. Oltre alla colonna vertebrale l’osteoporosi senile va a colpire il femore, l’omero e il polso. Interessa circa il 5-6% della popolazione adulta; una percentuale quindi ben più bassa dell’osteoporosi post-menopausale.
• L’osteoporosi secondaria
A differenza delle prime due (considerate primarie), l’osteoporosi secondaria è così definita perché conseguenza di altre malattia quali neoplasie, malattie croniche ed endocrine, patologie gastrointestinali. Fra le neoplasie vanno citati ovviamente i tumori, fra le malattie endocrine quelle della tiroide e il morbo di Cushing (malattia che causa una iperproduzione di cortisolo, con conseguente obesità, ipertensione e iperglicemia). Nelle problematiche gastrointestinali le principali sono la celiachia (che interessa un sempre maggior numero di italiani) e il morbo di Chron. Può infine comparire nel caso di forte assunzione di farmaci cortisonici, immunosoppressori o farmaci contro l’epilessia.
Se consideriamo tutti i tre tipi di osteoporosi, l’incidenza arriva a un uomo su cinque e addirittura una donna su tre, facendo di questa patologia una problematica che dovrebbe preoccupare soprattutto il mondo femminile.
L’osteoporosi post menopausale
Come abbiamo detto in precedenza, l’osteoporosi post menopausale compare negli anni immediatamente successivi alla menopausa, ma da cosa è provocata esattamente? Gli specialisti la addebitano ad una carenza di estrogeni e individuano due diversi meccanismi patogenetici:
• l’aumento del turnover scheletrico (ossia del rinnovamento osseo)
• il disaccoppiamento del riassorbimento rispetto alla neofomazione: la quantità di osso formata all’interno di ogni unità di rimodellamento risulta inferiore alla quantità di osso riassorbita.
Il turnover scheletrico non sembrerebbe in sé un problema, in fondo andrebbe a rinnovare maggiormente l’osseo. Tuttavia va considerato che esso è legato al RANK-Ligand, ovvero un particolare fattore di differenziazione osteoclastica: questo fattore va a stimolare la produzione di osteoclasti, le grandi cellule responsabili del riassorbimento osseo. Nel momento in cui il turnover osseo aumenta, aumenta anche la presenza di RANK-Ligand, col conseguente proliferare di osteoclasti.
Fortunatamente la perdita di massa ossea nelle donne tende a diminuire nel corso del tempo; abbiamo quindi due fasi:
• fase precoce: è quella che segue immediatamente la menopausa ed è particolarmente rapida ed intensa
• fase successiva: è quella che segue di 5-10 anni la menopausa; è più lenta e quindi meno pericolosa per la qualità ossea, che va a sì a diminuire ma in modo più blando.
L’ osteoporosi senile
Prima o poi l’osteoporosi tocca a tutti, perlomeno se si arriva alla veneranda età di 90 anni: pensate che le statistiche mediche parlano di un osteoporosi senile che colpisce ben il 90% degli ultranovantenni. Se siete donne poi la possibilità di essere interessati da questa malattia è superiore di ben il 200% rispetto agli anziani di sesso maschile. La fisiopatologia tipica della senilità è la responsabile di questa inesorabile perdita ossea, ma si tratta di solo una delle numerose cause per l’osteoporosi, le altre sono:
• una carenza eccessiva della vitamina D
• una non sufficiente esposizione ai raggi solari (causa, peraltro, proprio della carenza della vitamina D, che i raggi solari potrebbero fornire se recepiti in sufficiente quantità)
• un particolare deficit degli ormoni detti “sessuali” (ad esempio gli estrogeni nei pazienti di sesso femminile
• un calo nella capacità di assorbire il calcio (l’assorbimento riguarda soprattutto gli intestini)
• una mancanza di calcio provocata da diete errate
Va inoltre ricordato che moltissime patologie che interessano gli anziani possono avere come effetto collaterale una perdita di densità ossea. Ciò è particolarmente vero per le patologie di tipo epatico (cioè interessanti il fegato), respiratorio o renale. Ciò che avviene in queste patologie è una difficoltà per l’osso di procurarsi sostanze indispensabili come il calcio, il potassio, il sodio. Pure i farmaci possono avere come effetto collaterale una diminuzione della densità ossea, o meglio, di una ridotta capacità di reperire le sostanze sopracitate: sodio, potassio e calcio.
Osteoporosi giovanile
L’osteoporosi giovanile è una di quelle patologie che potremmo definire “illogiche”, in quanto appare davvero curioso che una malattia tipica degli anziani possa colpire bambini di 10 anni o ragazzi di 16; eppure ciò accade, ma come riconoscerla?
Esistono alcune problematiche come dolori continui alle ossa o fratture frequenti che possono far sospettare la presenza di osteoporosi giovanile. Sappiamo tutti come i bambini possano, durante le loro avventurose uscite in giardino o in spiaggia, rompersi un braccio con una certa facilità; tuttavia se le fratture superano la media di una ogni due o tre anni forse si dovrebbe parlarne col proprio medico di famiglia per verificare l’eventuale presenza di osteoporosi giovanile, soprattutto se a questi frequenti fratture sono associati appunto i già citati dolori ossei continui. In questo caso è possibile recarsi in un reparto di cardiologia per richiedere una lastra che permetta di verificare la presenza di osteopenia. Per chi non lo sapesse, l’osteopenia è una patologia dello scheletro cafratterizzata da una diminuzione dei valori di densità minerale ossea (BDM); tale diminuzione di densità è comunque meno intensa che quella provocata dall’osteoporosi.
La patologia davvero pericolosa per i vostri bambini è in realtà un’altra: l’osteoporosi idiopatica giovanile (fortunatamente molto rara). Questa osteoporosi colpisce i ragazzini intorno agli 11-12 anni. Essa compare con degli intensi dolore sia alle ginocchia, sia ai piedi sia al bacino, determinando una notevole difficoltà per la deambulazione e potenziali fratture sempre in agguato.
Come curare l’osteoporosi che colpisce i vostri figli?
Le cure non sono in realtà molto diverse da quelle per la classica osteoporosi: si inizerà agendo sulla dieta, rilevando tutte le eventuali mancanze alimentari e apportando tutto ciò che manca (soprattutto proteine e calcio). Successivamente ci si focalizzerà sulla vitamina D: vostro figlio ne assume abbastanza? Fortunatamente non è difficile nutrirsi naturalmente di vitamina D: basta stare al sole! Cercate quindi di stimolare vostro figlio o vostra figlia ad intraprendere qualsiasi tipo di gioco all’aperto, soprattutto nella bella stagione: calcio, pallavolo (in special modo beach volley), bicicletta… sono solo alcune delle attività che, se praticate per un’ora o due, permettono di assumere quella vitamina D mancante. Nel caso ciò non fosse sufficiente, esistono pillole di vitamina D economiche e sicure: basterà assumerne un paio al giorno per riequilibrare la presenza di questa preziosa vitamina nel corpo del bambino.
Nel caso in cui la situazione sia più grave si potrà valutare l’utilizzo di particolari farmaci come i bisfosfonati, dedicati proprio ad impedire il riassorbimento osseo.