Probabilmente pochi di voi conoscono il termine neuro-osteoatropatia di Charcot. Detta anche “piede di Charcot”, si tratta di una malattia degenerativa di tipo infiammatorio che colpisce i pazienti affetti da una neuropatia.
La malattia si caratterizza per il riassorbimento progressivo delle ossa articolari del piede, che può causare notevoli deformazioni fisiche. Nei casi più gravi può comportare un indispensabile ricorso alla chirurgia per la correzione delle problematiche fisiche, decisamente visibili ed imbarazzanti.
Nei casi più gravi potrebbe addirittura essere necessaria l’amputazione del piede leso.
Da cosa deriva la neuro-osteoartropatia di Charcot
Ad oggi non si è ancora scoperto con esattezza cosa provochi questa malattia.
Le teorie più accreditate sono due:
Secondo la prima, tale malattia è causata da problemi neurovascolari, ovvero dall’alterazione dei riflessi del sistema nervoso autonomo. L’articolazione priva di sensibilità viene “inondata” da un flusso di sangue eccessivo, da cui deriva una iperemeia (un aumento della quantità di sangue) che determina che le ossa vengano riassorbite dagli osteoclasti (le grandi cellule ricche di lisosomi).
Secondo la seconda teoria, il responsabile sarebbe un neurotrauma: a causa del peggioramento nella sensibilità periferica propriocettiva (cioè legata all’equilibrio) e dolorifica il paziente compie inavvertitamente dei movimenti errati che non vengono percepiti come tali. Tali movimenti ripetuti portano però ad una serie di microtraumi che traumatizzano l’osso e lo rendono di conseguenza ancora più sensibile ai traumi stessi. Il circolo vizioso così innescatosi determina un peggioramento continuo della condizione ossea.
Una terza teoria nasce dalla fusione delle due precedenti: la neuro-osteoatropatia dipenderebbe quindi da una sinergia negativa dei problemi neurovascolari e del neurotrauma.
La cronicità della osteo-artropatia di Charcot
La fase cronica della malattia del piede di Charcot provoca la scomparsa della flogosi locale (ossia dell’infiammazione) e una successiva normalizzazione della temperatura. Purtroppo a quel punto “il danno sarà ormai fatto”. Le articolazioni saranno danneggiate e deformate perciò il piede non potrà più funzionare in modo appropriato, rendendo il cammino particolarmente complesso.
Ciò risulterà non solo nel caso di danni al piede ma anche alla caviglia. È evidente come la prevenzione sia il primo indispensabile passo per evitare problematiche future difficilmente curabili.
Come curare la neuroartropatia
Nella fase acuta della malattia la prima preoccupazione sarà di bloccarne l’evoluzione, che potrebbe portare, nei casi più gravi, ad una vera e propria amputazione. Si dovrà quindi usare un metodo abbastanza invasivo ma efficace: indossare un particolare stivaletto rigido, composto in fibra di vetro o in gesso, per un periodo di almeno 3 mesi. Nei casi più gravi, ossia quelli che colpiscono il calcagno o la caviglia, lo stivaletto può dover essere indossato per oltre 6 mesi.
Il paziente potrà comunque camminare ma solo utilizzando dei particolari tutori o delle stampelle, in modo da evitare di caricare impropriamente il piede infortunato.
Riguardo l’estesa lunghezza temporale dell’uso dello stivaletto, va sottolineato come non tutti i pazienti potrebbero sopportare questa particolare calzatura per tempi così lunghi. In questo caso la responsabilità di un recupero sereno andrà affidata soprattutto ai parenti, che avranno il compito di assistere il malato il più possibile in modo da ridurre al minimo gli spostamenti non indispensabili.
Il paziente dovrà ovviamente spostarsi dal letto al salotto e da lì al bagno, ma ogni movimento riguardante la presa di oggetti di qualsiasi tipo (libri, computer, cibo, bevande) dovrà essere compiuto dai parenti o dagli amici, che porteranno al malato gli oggetti di cui ha bisogno, evitando al massimo il rischio di cadute o di carichi impropri sul piede malato.
Quali medicinali assumere durante la cura della neuro-osteoartropatia?
La classe medica è abbastanza divisa sui farmaci più adatti per la cura della neuro-osteoartropatia. Secondo alcuni specialisti si potrebbero ottenere risultati notevoli tramite l’uso dei difosfonati.
Si tratta di farmaci relativamente “antichi” in quando creati nel XIX secolo, ma solo negli anni ’60 venne studiata la loro potenziale applicazione con le patologie ossee. I difosfonati (o bifosfonati) sono risultati efficaci nel dissolvere i cristalli di idrossiapatite, che costituisce il più importante minerale dell’osso. La loro azione si sviluppa a livello cellulare.
Chirurgia e piede di Charcot
Una delle difficoltà causate dal piede di Charcot è data dalla presenza di protrusioni ossee che causano picchi di pressione impropri durante il cammino o anche semplicemente stando in piedi. Le protrusioni, a causa dell’eccessiva pressione, sono interessate da lesioni ulcerative che possono addirittura arrivare ad esporre le ossa. In questi casi si potrebbe pensare di intervenire con un intervento chirurgico, ma va ricordato che esso non è assolutamente semplice e dovrebbe quindi essere sempre considerato una “extrema ratio”, da usare solo nei seguenti casi:
– grave instabilità articolare che non può essere corretta tramite una protesi
– una lesione plantare (ulcera) recidiva
– deformità gravi dei piedi, anch’esse non correggibili con le protesi