Il nostro ginocchio è un complesso meccanismo che si compone di muscoli, ossa e tendini magistralmente incastrati per permettere a tutta la gamba una varietà di movimenti atti a camminare, correre, giocare e fare sport a tutti i livelli.
Le ossa presenti nell’articolazione sono unite ai muscoli mediante un certo numero di tendini che purtroppo se non sono trattati nel modo corretto, possono andare incontro a rotture o lesioni.
Si sente spesso parlare della “rottura del crociato”, ma in seguito ad alcuni movimenti sbagliati, anche il tendine rotuleo può rompersi comportando forti dolori e una riabilitazione da fare con attenzione.
Come è possibile rompersi il tendine rotuleo?
Il rotuleo è un tendine piatto, lungo circa 8 cm e largo circa 4, che collega la rotula con la tibia superiore e permette l’estensione della gamba assieme al quadricipite e agli altri tendini che sostengono la rotula.
È abbastanza raro che questo tendine si lesioni, ma può capitare in seguito a un trauma forte come può essere quello di un incidente stradale o di un infortunio sportivo; ad esempio il tendine potrebbe non sopportare il carico eccessivo apportato da un salto eseguito in discesa da un luogo molto alto o potrebbe non sostenere i movimenti scomposti della corsa su percorsi accidentati, come avviene nella skyrace.
Se gli appassionati di calcio ricordano l’incidente di Ronaldo (http://www.youtube.com/watch?v=yswziXAhtNE) del 1999, anche coloro che seguivano il basket dei Mavericks negli anni Ottanta avranno in mente l’infortunio di James Donaldson che rimase fermo un’intera stagione rallentando la carriera di tutta la squadra. Può capitare infatti anche ai professionisti che durante la pratica del proprio sport accusino in seguito a un movimento sbagliato un fortissimo dolore al ginocchio, che risulta impossibile stendere e caricare col peso corporeo mentre la rotula appare spostata di qualche centimetro verso l’alto; in questo caso la rottura del tendine è totale e avviene principalmente nella zona di collegamento con l’osso.
La frattura però può essere anche parziale; in questo caso il dolore si concentra sotto la rotula ed è possibile che si formi anche un ematoma.
Esistono anche dei fattori di rischio che aumentano la probabilità di rottura del tendine, ad esempio la malattia di Sinding-Larsen-Johansson che consiste in una tendinite concentrata nella zona inferiore della rotula e dovuta probabilmente a una sequenza di microtraumi trascurati o l’aver utilizzato il terzo centrale del tendine rotuleo per ricostruire il legamento centrale anteriore che si è precedentemente fratturato, ma anche un uso eccessivo di corticosteroidi o di steroidi anabolizzanti possono indebolire il tendine e aumentare il rischio di rottura.
In cosa consiste la riabilitazione?
La rottura parziale o totale del tendine viene diagnosticata attraverso l’esame clinico del caso e una risonanza magnetica che in alcuni casi risulta più accurata dell’ecografia.
Se la lesione è parziale è sufficiente imporre l’immobilità all’arto in posizione estesa per circa un mese e intraprendere consecutivamente un percorso di fisioterapia che irrobustisca progressivamente il tendine rimarginato e il muscolo collegato.
Se invece la lesione è totale si rende necessario l’intervento chirurgico.
L’operazione, che prevede sempre una ripulitura dell’area dal sangue dell’ematoma, deve essere effettuata in un tempo molto breve successivo al trauma e dipende dal grado di laceramento del tendine. Nei casi meno gravi in cui la rottura avviene nel corpo tendineo basta una sutura diretta tra le due parti del tendine.
Se invece lo strappo è avvenuto al livello di collegamento con l’osso la cucitura deve essere più sostenuta e deve riprodurre l’originaria tensione tendinea per evitare l’errato posizionamento della rotula nell’articolazione e la conseguente difficoltà per il paziente di tornare ad un movimento naturale e privo di dolori.
Il caso più grave si presenta quando il tendine fratturato è talmente lesionato da doverlo rimuovere e sostituire con altro tessuto in grado di sostenere le tensioni dell’arto. Tale tessuto viene prelevato da altre parti del ginocchio e trapiantato in maniera opportuna oppure viene manomesso il tendine quadricipitale per contrastare la mancanza occorsa.
In ogni caso dopo l’intervento è necessario immobilizzare l’arto con un tutore per qualche settimana (il periodo di tempo dipende dalla gravità della lesione) e procedere con dei movimenti assistiti progressivi da intensificare ogni 15-20 giorni. Cauto (ma necessario) deve essere anche il carico da assicurare all’articolazione sin dai primi giorni dopo l’operazione. Alcuni specialisti consigliano la fisioterapia in acqua per far sì che il fluido renda la riabilitazione meno faticosa e più rapida.
In ogni caso bravi fisioterapisti riusciranno nell’arco di qualche mese a gestire il trauma con esercizi mirati e col rafforzamento della muscolatura circostante, permettendo così agli sportivi di tornare ai loro abituali allenamenti e agli altri di riprendersi la propria vita quotidiana grazie alla riconquistata mobilità naturale dell’arto.